Santu Lussurgiu

Alla scoperta del distillato conosciuto anche come “Abbardente”

Che lo si chiami Filu ‘e ferru, in italiano letteralmente “filo di ferro”, o Abbardente, che si traduce in “acqua che arde” il richiamo è sempre a Santu Lussurgiu[1], il paese del Montiferru[2] depositario di un’antica tradizione con i distillati: alcune testimonianze scritte ne fanno risalire la produzione  già agli anni ‘70 del Settecento. Scritti che attribuiscono all’acquavite di Santu Lussurgiu[3] circa 250 anni di storia e tradizione. Nei documenti del gesuita Francesco Gemelli viene indicato che “di acquavite fassene gran quantità a Villa-Sidro, a S. Lussurgio e altrove”. Proprio i monaci, nei secoli scorsi, sono stati i primi a diffondere gli alambicchi artigianali nelle zone dell’Isola più ricche di vigneti.

L’acquavite che inizialmente (come la vernaccia) veniva utilizzata come farmaco e come rimedio ai malanni, ancora oggi è un ottimo digestivo ed  è diventata un prodotto di pregio, come testimoniano le parole del magistrato Francesco Maria Porcu, che  nel secondo XIX, riferendosi ancora una volta a Santu Lussurgiu[4],  commenta: “Produce molto vino e quantità non indifferente se ne distilla, onde sorte un’acquavite superba, che se ne profonde in tutto il Regno”.

È, però, nell’Ottocento che Santu Lussurgiu[5] raggiunge la fama di paese della distillazione, un riconoscimento  ancora oggi riconosciuto. All’inizio del secolo la produzione di acquavite diventa fonte di sostentamento per numerose famiglie del paese. Cominciano ad avviare una rete commerciale, come testimonia Vittorio Angius nel suo Dizionario Geografico, Storico, Statistico, Commerciale del 1837. L’acquavite di Santu Lussurgiu[6] viene trasportata e venduta in numerosi centri dell’isola e il centro del Montiferru[7] diventa tra i maggiori produttori del distillato sia nel circondario di Oristano, sia nel Cagliaritano.

La moderna distilleria arriva grazie alla figura di Nicolò Meloni, insegnante e agronomo del paese. È lui l’artefice della celebre Acquavite Stella e dello storico e primo cognac di Sardegna, un’acquavite di vino invecchiata in botti di rovere, vincitore di numerosi premi su scala nazionale. Tra questi, nel 1896, il premio alla Camera di commercio di Roma. Il prodotto arriva in tutta Italia e non solo: il successo varca le Alpi fino alla Francia, dove nel 1900 viene esposta una piramide del cognac sardo.

L’acquavite tipica sarda è una bevanda a elevata gradazione alcolica, maggiori di 40°, può raggiungere anche i 55°. È incolore, e i sentori ricordano in modo più o meno marcato i profumi dei vini e delle vinacce d’origine. Tra le varianti all’acquavite classica, ci sono i distillati aromatizzati con essenze spontanee tipiche della Sardegna: il finocchietto selvatico, i corbezzoli, il mirto e l’elicriso, tra gli altri.

L’acquavite si ottiene attraverso un processo di doppia distillazione di vini e vinacce a temperatura controllata.

Le vinacce, ottenute dal processo di vinificazione, vengono stoccate e poi trasportate nelle distillerie autorizzate. Qui vengono unite ai vini e sottoposte al processo di doppia distillazione con appositi alambicchi discontinui, composti da una caldaia, dove si mette la materia da distillare; un coperchio, nel quale si raggruppano i vapori ricchi di alcol ed aromi e un collettore, un tratto di tubo allungato a forma incurvata dove si incanalano i vapori che salgono dal coperchio. L’alambicco discontinuo presenta anche una serpentina di raffreddamento o refrigerante: si tratta l’ultima parte del tubo che scende progressivamente a spirale all’esterno della quale scorre il liquido refrigerante. La serpentina ha il compito di raffreddare e riportare allo stato liquido i vapori alcolici. Sotto la serpentina c’è un recipiente che raccoglie il liquido che fuoriesce. L’alambicco discontinuo viene detto anche a ripasso, per via delle due distillazioni: con la prima si ottiene la separazione dell’alcol dall’acqua, ma produce un liquido di media gradazione alcolica e con profumi mediocri. Con la seconda distillazione si ottiene il prodotto finale. Il distillato viene poi conservato in botti di rovere (barricato) e sottoposto ad un periodo di stagionatura di un anno. Viene destinato all’imbottigliamento solo la parte più pregiata del distillato, cioè senza la testa e la coda.

Il processo produttivo attualmente avviene nelle distilleria professionale, ma un tempo l’acquavite veniva realizzata nelle cantine e nei ripostigli delle case. Come per su casizzolu, altro prodotto tipico di Santu Lussurgiu[8], erano le donne a occuparsi della produzione, mentre gli uomini si trovavano a lavorare in campagna.

Se il termine italiano “acquavite” ha una origine suggestiva, che deriva dal latino aqua vitae, cioè “acqua della vita”, dietro i nomi in lingua sarda dati all’acquavite si nascondono una leggenda e le sensazioni che si provano nel berla. La tradizione orale racconta che quando nel 1874 il Regno di Sardegna vietò la libera distillazione casalinga a scopi commerciali, l’acquavite si cominciò a produrla clandestinamente. Nell’isola, alambicchi, damigiane e fiaschi colmi di acquavite sparirono dalla vista delle autorità durante in controlli, ma solo apparentemente.

Le donne continuavano a produrla in gran segreto e a nascondere le botti in botole sotterranee, nell’acqua del Rio, dove venivano lavati i panni, o in buche scavate negli orti. È da questa pratica che nasce il nome del Filu ‘e ferru (fil di ferro). Leggenda vuole, infatti, che i contenitori con la bevanda proibita venissero legati con il fil di ferro prima di esser sotterrati. L’ultima parte del filo veniva lasciata scoperta, in modo da permettere il recupero del distillato senza problemi. Nella realtà, invece, le botti venivano nascoste nelle cantine o anche in casa.

Il nome Abbardente è legato alla sensazioni che il distillato sardo regala al palato: trasparente come l’acqua, ha una gradazione alcolica superiore a 40 gradi che è letteralmente in grado di infiammare palati e animi.

Nell’Isola il Filu ‘e ferru viene definito l’elisir di lunga vita. C’è chi ritiene scherzosamente che sia proprio il consumo tradizionale di questa bevanda ad aver trasformato l’Isola nella terra dei centenari. Al di là delle nuove leggende, è prescelto per su cumbidu, cioè per l’invito: tradizione vuole che venga offerto a fine pasto agli ospiti, come un digestivo dopo un pranzo tradizionale. L’alta gradazione suggerisce per logica di berlo a stomaco pieno. Meglio se accompagnato anche da qualche dolce di mandorla.

È spesso associato anche ai momenti conviviali: c’è chi lo sorseggia anche come aperitivo (meglio evitare se non si è abituati). Il Filu ‘e ferru (o Abbardente) regala momenti di piacere ed euforia. La temperatura di servizio è variabile: c’è chi consiglia il consumo tra i 6 e gli 8 gradi e chi tra i 14 e i 16 gradi.

S’Abbardente si può anche mangiare: a Santu Lussurgiu[9] la distilleria del paese produce anche ricercate  praline di cioccolato fondente croccante, con un cuore morbido di cioccolato fondente aromatizzato all’acquavite.

Il paese del Montiferru[10] ha una vocazione prettamente agro pastorale e un territorio ricco di sorgenti. Le più conosciute sono quelle di San Leonardo de Siete Fuentes[11], borgo a sei chilometri dal centro abitato, circondato da boschi fitti di lecci e querce da sughero a quasi 700 metri di altezza. Meta per le scampagnate domenicali o per le feste, nella quale è possibile fare piacevoli passeggiate, tra minuscoli laghetti e ruscelli, formati dalle sorgenti, da cui sgorgano acque leggere e salutari. Durante la stagione estiva la borgata ospita la Fiera regionale del cavallo, tra le più importanti di settore in Sardegna e che si tiene da oltre cento anni. La Fiera fa da vetrina anche alle note produzioni locali, come quella di Filu ‘e ferru, appunto, o di casizolu e coltelli, altre arte tradizionali e tipiche del paese.

San Leonardo
Un cavallo a San Leonardo

Santu Lussurgiu[12] è conosciuto anche per il suo spettacolare carnevale, detto Sa Carrela e ‘nanti[13], sfrenata corsa a cavallo lungo una stretta via del paese.

Da visitare il centro storico di Santu Lussurgiu[14]: con le sue vecchie case con pietre ben squadrate, archi di controspinta, stipiti in basalto e trachite dalle diverse sfumature conserva ancora intatta la memoria del passato. Tra le sue vie nel mese di dicembre viene svolta la manifestazione Artes e Sabores, con percorsi di gusto e tradizione, per conoscere i sapori delle produzioni tipiche del territorio, le antiche case, le botteghe degli artigiani, le chiese e il museo del paese. Proprio in quest’ultimo – il Museo della Tecnologia Contadina – l’antica tradizione lussurgese legata al Filu ‘e ferru è testimoniata dalla presenza di un antico alambicco di fabbricazione francese. È ospitato nei locali del centro di cultura popolare U.N.L.A., in una antica casa padronale del XVIII secolo.

[In collaborazione con l’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna]

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Venerdì, 15 dicembre 2023

 

 

 

 

Fonte: Link Oristano


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