Oristano

Nuovo appuntamento col Cartellone Cedac

Tra letteratura e teatro, per una riflessione sull’ipocrisia e sugli umani vizi – di ieri e di oggi – con “Il Mercante di Indulgenze”, lo spettacolo scritto, diretto e interpretato dall’attore e regista Andrea Tedde, con arrangiamenti e scelte musicali di Matteo Tedde (produzione Batanea Teatro) in cartellone domenica prossima 28 gennaio alle 21 al Teatro “Antonio Garau” di Oristano – al posto della commedia “Che fine ha fatto Ulisse?” di e con lo stesso Andrea Tedde, ispirata all’eroe omerico – sotto le insegne della Stagione 2023-2024 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegna e del Comune di Oristano e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

La pièce liberamente tratta da “I Racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer, come ricorda la nota di presentazione,  trasporta sulla scena le elucubrazioni del brillante affabulatore, che con sagacia discerne tra le proprie inclinazioni e debolezze e quelle altrui, prima fra tutte la cupidigia: maestro nell’arte oratoria, abile venditore e truffatore senza scrupoli, egli sollecita laute donazioni per emendare i suoi ascoltatori da quella colpa capitale e decanta le miracolose virtù delle sue “reliquie”, e senza timore né vergogna si rivolge ai ricchi quanto ai poveri per indurli ad acquistare il perdono e il viatico per il paradiso. Un eroe in negativo, che sfrutta i propri talenti e la propria intelligenza per ingannare le folle, incantandole con i suoi discorsi, promettendo la salvezza dell’anima e sfruttando la paura della morte e dell’eterna dannazione per ottenere i denari necessari a condurre una vita comoda e agiata.

“Il Mercante di Indulgenze”, prosegue la nota di presentazione, rappresenta un perfetto esemplare di quella genia di mestatori e imbroglioni che abilmente dissimulano sotto l’apparenza della bontà e del disinteresse la propria autentica vocazione e le proprie aspirazioni, per trarne beneficio: «E chi può dire che faccio la parte del farabutto quando il consiglio che offro è generoso e onesto…» – sostiene il protagonista, che pure ammette: – «Quando i diavoli vogliono indossare i peccati più neri, si mascherano prima con apparenze Celesti, come faccio io». Il messaggero della fede, intercessore presso il papa, in contatto con santi e martiri, è in realtà un impostore, attento solo a ricavare dei vantaggi personali dall’ignoranza e dalla superstizione; tuttavia egli si fa vanto di speciali benemerenze per aver indicato, se non con l’esempio, con le sue parole, i sacrifici e le rinunce per purificarsi dal  vizio dell’avarizia, e anzi aver aiutato direttamente, spogliandoli di parte dei loro beni, i fedeli a ravvedersi in tempo per entrare il Regno dei Cieli.

In un intrigante monologo, quasi una aperta confessione, l’Indulgenziere, si legge ancora nella nota di presentazione,  rivela ai suoi compagni di viaggio le sue reali intenzioni e tutta l’ambiguità del suo comportamento, tra l’ostentata rettitudine, vestita d’amabilità ma anche dell’indispensabile severità e la bramosia di denaro e di piacere: una dichiarazione fin troppo sincera, quasi sfacciata, in cui l’uomo si fa beffe della credulità delle masse ma in fondo mette in mostra, dietro la maschera dell’arroganza, tutta la sua umana fragilità. Un istrione che cerca di ammaliare il suo pubblico e cerca di conquistarne l’attenzione e la simpatia, a costo di svelare i suoi trucchi, ma sempre pronto a indossare la maschera della sua professione: come un attore sotto le luci della ribalta, egli vuole ammaliare il suo uditorio, sorprenderlo e sedurlo, tenendolo avvinghiato alla sua storia, al di là del bene e del male.

Una dichiarazione pericolosa, che potrebbe suonare come una ammissione di colpevolezza, ma nella quale il protagonista rivendica insieme alla spregiudicatezza gli effetti positivi della sua predicazione, come la rassicurazione che è pronto ad offrire, a caro prezzo s’intende, agli astanti, liberandoli dalle preoccupazioni per ciò che li aspetta varcate le soglie dell’aldilà, alleggerendo le loro coscienze (e le loro tasche) e sottolinea egli stesso con arguzia che se «radix malorum est cupiditas»,, il rimedio contro la “sorgente di tutti i mali” non può essere che acquistare le indulgenze e permettere così a lui di sperperare con dovizia quelle immeritate ricchezze. Egli stesso si fa carico di quella cupidigia, per il bene del suo prossimo, e pur ricercando solo la propria convenienza, rende  un utile servigio alla comunità: è il paradosso implicito nella sua professione di ciarlatano, estorcere con l’imbroglio e fortificare così la fede e nobilitare lo spirito (altrui).

«Ospite arcano, uomo pieno di vizi, esperto ipocrita, religioso che commercia in spurie reliquie, l’Indulgenziere è dotato di un intelletto pericoloso, teso solo a violare la fiducia di chi lo ascolta» – scrive nelle note l’attore e regista Andrea Tedde –. «Tutto l’agire di questo fantasioso personaggio demoniaco si compie nel mezzo di prediche vigorose, ossia per mezzo della “parola”, che trova terreno propizio nella credulità e nell’ingenuità di chi lo ascolta. Ci godiamo le sue infinite invenzioni, le sue “sante reliquie”, scatole di vetro piene di stracci, ossa e mezzi guanti magici.

«Ingannatore professionale, ci consente di assaporare la sfrontatezza con cui getta un incantesimo sulle sue vittime, proclama con compiacimento la propria viziosità e rinnega ogni conseguenza morale del proprio operato: “Il mio scopo è solo quello di far soldi e per nulla di correggere i peccati. Una volta sepolti, che m’importa se le loro anime vagano raminghe in malora!”.
Il giubilo che prova per i propri poteri intellettuali e la propria viziosità ci meraviglia, come sempre fa la scelleratezza letteraria: nessuno potrebbe amare un personaggio tanto immorale, ma nessuno può resistere alla sua negativa esuberanza».

E conclude: «Con l’Indulgenziere Geoffrey Chaucer ci ha regalato il ritratto di un personaggio tetro e profetico, la cui progenie è ancora tra noi, nella vita come nella letteratura. Lo scopo di questa rappresentazione è anche quello di alleggerire, con una punta di ironia, il pensiero che personaggi simili in vesti diverse e a distanza di secoli, continuino ad esistere, nutrendosi, con poderosa immaginazione, di inganno e dell’ingenuo bisogno di illusioni di molti».

La Stagione 2023-2024 de La Grande Prosa a Oristano prosegue con il ricordo della Shoah e della “banalità del male” – venerdì 16 febbraio alle 21 – con “Il cacciatore di nazisti / L’avventurosa vita di Simon Wiesenthal” con drammaturgia e regia di Giorgio Gallione, dove Remo Girone, attore di teatro e di cinema, diretto da registi come Luca Ronconi, Orazio Costa e Peter Stein, Miklós Jancsó, Marco Bellocchio, Ettore Scola e Cinzia TH Torrini e noto al grande pubblico per il ruolo di Tano Cariddi ne “La Piovra”, interpreta l’ingegnere ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento, che ha dedicato la sua esistenza alla cattura e alla condanna dei responsabili dello sterminio (produzione Ginevra Media Production – Teatro Nazionale di Genova). Una pièce emozionante e avvincente, in bilico tra un romanzo di spionaggio e un’indagine storica, incentrata sulla figura carismatica di un singolare eroe moderno: Simon Wiesenthal, deportato insieme alla sua famiglia e ad altri milioni di ebrei, riuscì a salvarsi nell’incubo dei lager e al termine della seconda guerra mondiale iniziò a raccogliere informazioni per istruire i processi contro i criminali nazisti. Tra i fondatori del Centro di Documentazione Ebraica, il “James Bond ebreo” ha contribuito all’identificazione di uno degli ideatori della “soluzione finale”, Adolf Eichmann, rifugiatosi in Argentina; di Karl Silberbauer, il sottufficiale della Gestapo responsabile dell’arresto di Anna Frank e di Franz Stangl comandante dei campi di Treblinka e Sobibor. «Non voglio che le persone pensino che sia stato possibile che i nazisti abbiano ucciso milioni di persone e poi l’abbiano fatta franca» – ha affermato Simon Wiesenthal – «Ma io voglio giustizia, non vendetta».

Un inedito affresco della società tra parole e note – venerdì 1 marzo alle 21 – con “Family / A Modern Musical Comedy” con libretto, testi e musiche di Gipo Gurrado e coreografie e movimenti scenici a cura di Maja Delak: sotto i riflettori Andrea Lietti, Giovanni Longhin, Ilaria Longo, Nicola Lorusso, Roberto Marinelli, Marco Rizzo, Elena Scalet e Paola Tintinelli, che prestano corpo e voce ai protagonisti, parte di un variopinto e esemplare microcosmo (produzione Elsinor / Centro di Produzione Teatrale, con il contributo di NEXT-Laboratorio delle Idee). “Family” mette l’accento sull’ambiguità dei legami di sangue e d’affetto e sui fragili equilibri, le trasformazioni individuali e la complessità dei rapporti tra persone che senza essersi scelte, e senza necessariamente condividere gusti e inclinazioni, idee e passioni, si ritrovano imprigionate simbolicamente in uno stesso ambiente, a respirare la stessa aria e scambiarsi pensieri. Uno sguardo candido e disincantato su una stravagante comunità, con i suoi valori e i suoi dissensi, attraverso le canzoni, tra momenti corali e monologhi in musica, con uno stile personale in cui si fondono il teatro di prosa e la commedia musicale. Dopo “Supermarket”, una sorta di bestiario cantato e ballato, Gipo Gurrado, poliedrico musicista e compositore, autore e regista si confronta con la famiglia, nucleo fondante della società, ma anche luogo di conflitti, attingendo alla grande tradizione cantautorale, da Giorgio Gaber ad Enzo Jannacci e Lucio Dalla, per raccontare nevrosi e disfunzionalità, dilemmi e paure, solitudini e inquietudini dell’umanità nel terzo millennio.

Nel segno della rivoluzione – giovedì 28 marzo alle 21 – con “Ottantanove”, uno spettacolo di Elvira Frosini e Daniele Timpano, anche protagonisti sulla scena insieme con Marco Cavalcoli, realizzato con la collaborazione artistica di David Lescot e Francesca Blancato, con disegno luci di Omar Scala, scene e costumi di Marta Montevecchi, musiche originali e progetto sonoro di Lorenzo Danesin (produzione Teatro Metastasio di Prato, SCARTI /Centro di Produzione Teatrale di Innovazione, in collaborazione con Kataklisma Teatro e Teatro di Roma / Teatro Nazionale). Il titolo rimanda ad una data fatidica, quella della Rivoluzione Francese che sconvolse l’Europa, con la fine dell’Ancien Régime e la proclamazione della Repubblica, fondata sui principi di Liberté, Égalité, Fraternité e sulla dichiarazione dei diritti dell’uomo, ma anche alla caduta del Muro di Berlino. «“Ottantanove” non vuole raccontare una storia, o la Storia, ma immergersi in un mito fondativo, nei materiali culturali che lo hanno prodotto e che questo ha prodotto a sua volta» – sottolineano Elvira Frosini e Daniele Timpano –. «L’attuale crisi della Democrazia vista in rapporto con la Rivoluzione francese e con il 1989, la fase che apre la nostra epoca, oggi che il concetto stesso di rivoluzione sembra aver perso concretezza, anche se non un suo fascino rétro». Con la loro cifra ironica e dissacrante i due artisti, che si sono confrontati con fasi cruciali del passato – da “Dux in scatola” a “Risorgimento Pop” e “Aldo morto” – si interrogano sulla realtà complessa e contraddittoria delle moderne democrazie e sulla duplice identità di italiani e di cittadini europei.

Una ricetta afrodisiaca per un’indagine sulle passioni – sabato 6 aprile alle 21 – con “L’Anatra all’Arancia”, una commedia maliziosa, anzi piccante firmata da William Douglas Home e Marc Gilbert Sauvajon, interpretata da Emilio Solfrizzi e Carlotta Natoli, accanto a Ruben Rigillo e Beatrice Schiaffino e con Antonella Piccolo, per la regia di Claudio Greg Gregori (produzione Compagnia Molière, in coproduzione con il Teatro Stabile di Verona). La fine di un matrimonio, perché la moglie stanca della disattenzione e delle infedeltà del marito ha deciso di lasciarlo e iniziare una nuova vita accanto ad un altro uomo, induce il consorte troppo libertino a riconsiderare le proprie azioni e, sulla spinta di una tardiva gelosia, a tentare di riconquistare l’affetto della donna, cui chiede un ultimo incontro, cui è invitato anche il rivale. La divertente pièce, con ritmi da pochade, mette in risalto sentimenti e stati d’animo dei personaggi, che si prestano e si lasciano coinvolgere in un singolare gioco delle parti: dalla disinvoltura e il cinismo dell’inizio, si passa all’amarezza e al risentimento, ai timori e all’antagonismo, sempre più evidenti dietro la maschera di indifferenza e di elegante distacco. In realtà le ferite sono ancora aperte e le reazioni sono sempre più vivaci, la coppia in crisi certo non riuscirà a risolvere i suoi problemi così facilmente, né è probabile che marito e moglie intendano davvero riconciliarsi, ma quella insolita riunione rappresenta la cartina tornasole grazie a cui far emergere divergenze e incompatibilità, incomprensioni, rabbia e disincanto troppo a lungo ignorati, per rassegnazione o in nome del quieto vivere.

Una straordinaria epopea sportiva – sabato 20 aprile alle 21 – con “Number 23 / Vita e splendori di Michael Jordan”, il nuovo spettacolo di Federico Buffa ispirato al leggendario campione  americano, le cui eccezionali qualità atletiche e tecniche e i risultati ottenuti in una folgorante carriera fanno ormai parte dell’immaginario collettivo oltre che della storia della pallacanestro (produzione International Music and Arts). Il celebre cronista sportivo, sulle note del pianoforte di Alessandro Nidi, sfoglia la biografia e rievoca le imprese di un giocatore formidabile, dall’immenso talento e dalla spiccata personalità, con all’attivo una lunga serie di successi, nonostante interruzioni e deviazioni dal percorso, drammi familiari e infortuni, diventato icona dello sport mondiale. «Le sue prodezze sul parquet dal 1984 al 2003 sono state linfa e traino della sua narrazione una volta diventato imprenditore, proprietario di uno dei marchi sportivi più riconoscibili al mondo» – sottolinea Federico Buffa –. «Quando arriva nella Lega riesce sin da subito a far capire a campioni dello spessore di Magic Johnson e Larry Bird quale sia la sua pasta, nonostante la giovane età. Una cavalcata che lo porta a vincere sei titoli NBA e ad infrangere record individuali e di squadra: numeri che raccontano soltanto in parte però la grandezza di un personaggio difficile da limitare e restringere all’interno del recinto delle statistiche». “Number 23” – come la storica maglia delle prime stagioni con i Chicago Bulls – per il ritratto di un fuoriclasse della pallacanestro: vincitore di quattro ori olimpici, oltre ai numerosi premi ottenuti nella sua intensa carriera, nel 2016 Michael Jordan ha ricevuto la medaglia della libertà dal presidente Barack Obama.

La Stagione 2023-2024 de La Grande Prosa al Teatro “Antonio Garau” di Oristano è organizzata dal CeDAC/ Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna, con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, dell’Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport della Regione Autonoma della Sardegna, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Oristano e con il contributo della Fondazione di Sardegna e il supporto di Sardinia Ferries, che ospita sulle sue navi artisti e compagnie in viaggio per e dalla Sardegna.

Info e prenotazioni: Elio Orrù – cell. 335.6098056 – 340.2537548  – email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; www.cedacsardegna.it

Domenica, 21 gennaio 2024

Fonte: Link Oristano


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